KROMO-KRONOS | Museo del Novecento | Milano 2019
a cura di Anna Daneri e Iolanda Ratti
A partire dalla ricerca sulla materia, intrinsecamente legata al concetto di tempo, l'esposizione mette in dialogo la produzione storica dell'artista con quelle più recente, da un lato ripercorrendone il lavoro nelle diverse fasi a partire dagli anni Sessanta, dall'altra esplicitandone l'immaginario, in un "archivio coerente" di progetti e intuizioni. Il tempo, il movimento e la ripetizione sono i parametri fondanti del lavoro dell'artista, che nasce dalla fascinazione per i materiali, in primis terre, erbe e radici.
"Kromo: la materia cromatica che diventa pittura. Kronos: i tempi dei fenomeni e delle trasformazioni, le relazioni tra i materiali, le loro attrazioni o repulsioni. Una sorta di rituale in cui il colore è anche odore, sensazione, è la ricerca di una totalità dove l'inesorabilità della materia naturale, abbandonata ogni mediazione linguistica, porta direttamente alla vita".
(Renata Boero)
CROMOGRAMMI
All’inizio degli anni Sessanta Renata Boero si dedica allo studio dei materiali, iniziando un intenso lavoro di documentazione sulle sostanze naturali e sugli aspetti simbolici attribuiti ai colori, attraverso la lettura in particolare del De Rerum Natura di Lucrezio e del Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Dopo le prime esperienze figurative, l’artista concentra la propria ricerca sull’idea del superamento dell’arte come rappresentazione della realtà, costruendo una propria cifra stilistica che interpreta la pittura come gesto artistico che non ritrae la natura, bensì la ricostruisce concettualmente.
I Cromogrammi, realizzati in studio a partire dal 1965 ed esposti solo dal 1970, sono dipinti immergendo il supporto, carta o tela, in infusi realizzati con pigmenti naturali, e quindi meticolosamente ripiegati più volte su se stessi a formare griglie regolari. Sono così “abbandonati” alle modifiche del tempo, che diventa co-autore della continua e imprevedibile trasformazione dell’opera.
CTONIOGRAFIE
L’osservazione e la codificazione sempre più attenta dei processi che animano la materia sono alla base della serie delle Ctoniografie (letteralmente “scritture sotterranee”), realizzate a partire dagli anni Duemila, che sono da intendersi come un’evoluzione dei concetti di “scrittura del colore” e di germinazione.
Le tele, di formato ridotto verticale, come delle stele, sono immerse nei pigmenti e sotterrate per lunghi periodi, dando vita a fenomeni chimici più radicali di macerazione e combustione. Il colore appare più tenue, come se l’azione del tempo nel sottosuolo contribuisse a un processo di smaterializzazione teso alla ricerca dell’essenza stessa della materia.
L’artista ricrea con la piega la “scacchiera” già proposta nei Cromogrammi ma con tagli più netti e un ritmo più “serrato”.
GERMINAZIONI
Appartiene agli ultimi decenni, sebbene parta da sperimentazioni avviate alla fine degli anni Sessanta, il ciclo delle Germinazioni, modulazioni cromatiche costituite dalla vibrazione di un unico colore, generato dall’alchemico trasformarsi di un parassita, simbolico paradigma del ciclo vitale.
Rispetto ai Cromogrammi, questi lavori sono realizzati su superfici ridotte, a sottolineare l’indagine basata sull’osservazione minuziosa di un singolo particolare. Il termine richiama il primo stadio della vita delle piante – seguito da crescita e fioritura – e assume la valenza di rigenerazione che per l’artista indica la possibilità di una successione continua di fenomeni diversi, come nella vita.
CARTE
In tutta la produzione artistica di Renata Boero, la carta occupa un ruolo privilegiato. Utilizzata come supporto per disegni, progetti e schizzi, acquisisce nel tempo il valore di una consapevole scelta di medium. Esattamente come la tela, a partire dalla metà degli anni Sessanta il materiale viene sottoposto a trasformazioni organiche: tintura, germinazione, combustione.
Ne risultano da un lato dei cromogrammi "piatti", in cui la scansione cromatica è definita da preziose campiture e il gesto della piegatura è sostituito dall'intervento grafico di scrittura dell'artista, dall'altra opere densamente materiche. Le ricerche sulla carta si traducono anche in libri d'artista, e dalla fine degli anni Novanta nei Fiori di carta, ispirati a un passaggio di Pasolini ne La Ricotta: "Ma proprio in quelle sbiadirsi cartaceo conserverà, morto, il suo vivo rossore. (...) Come spettro fragrante (...) con le foglie delicate che si staccano appena a toccarle".
IO DICO IO | Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea | Roma 2021
a cura di Cecilia Canziani, Lara Conte, Paola Ugolini
Dopo gli studi umanistici in collegio in Svizzera, dove si era avvicinata al pensiero junghiano, Renata Boero (Genova, 1936) completa la propria formazione a Genova, con Emilio Scanavino al Liceo Artistico Barabino. Il suo esordio si inserisce, dal 1958, in un circuito espositivo e di premi che le assicura riconoscimenti e acquisti, tra cui la partecipazione alla Quadriennale del 1959. Ma, a partire dagli anni Sessanta, Boero è insofferente verso un certo modo di fare pittura e inizia a ricercare una nuova relazione con la natura che dal piano figurativo e come rappresentazione del visibile si volgesse verso una “natura recuperata per via di pittura”, come ha sintetizzato Paolo Fossati (1). Prende allora avvio un percorso di ricerca non lineare che sedimenta esperienze diverse: tasselli che germinano in modo discontinuo, nell’incontro con la materia, con il gesto corporeo, con la natura, il magico, il simbolico e la politica.
Negli anni Sessanta il suo studio è la sua casa – l’appartamento di Genova dove vive il suo essere madre e artista, in una sovrapposizione di vita e lavoro, lontana sino al 1970, dai circuiti espositivi e dai rapporti con il mercato. Nascono allora i Cromogrammi.
Nella definizione di Cromogramma è insita la dimensione ritmica di una scrittura di colore che si dispiega nel tempo e nello spazio. I Cromogrammi sono grandi telèri ripiegati che vengono immersi in un materiale cromatico ottenuto dalla macerazione di radici ed elementi naturali come la curcuma, l’henné, la cocciniglia.
Boero documenta il suo processo pittorico in una serie di cicli di lavori fotografici, come quello dedicato alle mani: una sorta di archivio di gesti compiuti dalla mano dell’artista (talvolta è ripresa quella di sua madre) nel fare pittura, come a portare l’attenzione sulla dimensione primaria di un atto generativo che sposta la tensione dall’opera al lavoro.
I materiali fotografici relativi ai gesti delle mani, nel corso degli anni, sono stati montati in sequenze e rielaborati in video. I diversi montaggi realizzati sono stati esposti nelle mostre accanto o sopra ai Cromogrammi stessi. Attraverso le proiezioni lo spazio della mostra si fa luogo poroso che non accoglie esclusivamente le opere pittoriche, ma anche il prima e il dopo della pittura: ovvero le procedure, l’esperienza, il divenire, in una tensione multimediale.
Lara Conte
(1)P. Fossati, Renata Boero, Edizioni Essegi, Ravenna 1997.
La grande scala -Teleri italiani e altri grandi formati di artisti contemporanei | Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea | Bergamo 1995
a cura di Vittorio Fagone
Vita, Morte, Miracoli. L’arte della longevità | Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce, Genova 2018
a cura di Carlo Antonelli e Anna Daneri
Renata Boero - Vito Acconci | ICC - Internationaal Cultureel Centrum, Anversa 1978
Renata Boero | Modern Art Gallery, Vienna 1978